20 set 2013
RECUPERARE GENIALITÀ
Scritto da Piergiorgio |
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Lo afferma papa Francesco nella sua lunga intervista rilasciata alla Civiltà Cattolica. «Il pensiero della Chiesa – afferma - deve recuperare genialità e capire sempre meglio come l’uomo si comprende oggi per sviluppare e approfondire il proprio insegnamento». Ho letto con estremo interesse l’intera intervista rilasciata dal Papa, che è possibile recuperare anche su internet, e ho trovato molti motivi di conforto nelle sue parole. Finalmente un papa che sa parlare all’uomo d’oggi, mi sono detto. Per questo ho voluto condividere con i miei lettori alcuni dei passaggi della stessa, tra quelli che ho trovato più significativi. Buona lettura.

«L’immagine della Chiesa che mi piace è quella del santo popolo fedele di Dio. È la definizione che uso spesso, ed è poi quella della Lumen gentium al numero 12. L’appartenenza a un popolo ha un forte valore teologico: Dio nella storia della salvezza ha salvato un popolo. Non c’è identità piena senza appartenenza a un popolo. Nessuno si salva da solo, come individuo isolato, ma Dio ci attrae considerando la complessa trama di relazioni interpersonali che si realizzano nella comunità umana. Dio entra in questa dinamica popolare».

«Il popolo è soggetto. E la Chiesa è il popolo di Dio in cammino nella storia, con gioie e dolori. Sentire cum Ecclesia dunque per me è essere in questo popolo. E l’insieme dei fedeli è infallibile nel credere, e manifesta questa sua infallibilitas in credendo mediante il senso soprannaturale della fede di tutto il popolo che cammina. Ecco, questo io intendo oggi come il “sentire con la Chiesa” di cui parla sant’Ignazio. Quando il dialogo tra la gente e i Vescovi e il Papa va su questa strada ed è leale, allora è assistito dallo Spirito Santo».

«Io vedo la santità nel popolo di Dio paziente: una donna che fa crescere i figli, un uomo che lavora per portare a casa il pane, gli ammalati, i preti anziani che hanno tante ferite ma che hanno il sorriso perché hanno servito il Signore, le suore che lavorano tanto e che vivono una santità nascosta». «Io vedo con chiarezza che la cosa di cui la Chiesa ha più bisogno oggi è la capacità di curare le ferite e di riscaldare il cuore dei fedeli, la vicinanza, la prossimità. Io vedo la Chiesa come un ospedale da campo dopo una battaglia. È inutile chiedere a un ferito grave se ha il colesterolo e gli zuccheri alti! Si devono curare».

Cerco di capire come il Papa veda il futuro dell’unità della Chiesa. Mi risponde: «dobbiamo camminare uniti nelle differenze: non c’è altra strada per unirci. Questa è la strada di Gesù».

«Dio va incontrato nell’oggi… Dio si manifesta in una rivelazione storica, nel tempo. Il tempo inizia i processi, lo spazio li cristallizza. Dio si trova nel tempo, nei processi in corso. Non bisogna privilegiare gli spazi di potere rispetto ai tempi, anche lunghi, dei processi. Noi dobbiamo avviare processi, più che occupare spazi. Dio si manifesta nel tempo ed è presente nei processi della storia. Questo fa privilegiare le azioni che generano dinamiche nuove. E richiede pazienza, attesa».

«Sì, in questo cercare e trovare Dio in tutte le cose resta sempre una zona di incertezza. Deve esserci. Se una persona dice che ha incontrato Dio con certezza totale e non è sfiorata da un margine di incertezza, allora non va bene. Per me questa è una chiave importante. Se uno ha le risposte a tutte le domande, ecco che questa è la prova che Dio non è con lui. Vuol dire che è un falso profeta, che usa la religione per se stesso. Le grandi guide del popolo di Dio, come Mosè, hanno sempre lasciato spazio al dubbio. Si deve lasciare spazio al Signore, non alle nostre certezze; bisogna essere umili. L’incertezza si ha in ogni vero discernimento che è aperto alla conferma della consolazione spirituale».

«La nostra vita non ci è data come un libretto d’opera in cui c’è tutto scritto, ma è andare, camminare, fare, cercare, vedere… Si deve entrare nell’avventura della ricerca dell’incontro e del lasciarsi cercare e lasciarsi incontrare da Dio».

«Dio sta prima, Dio sta prima sempre, Dio primerea. Dio è un po’ come il fiore del mandorlo della tua Sicilia, Antonio, che fiorisce sempre per primo. Lo leggiamo nei Profeti. Dunque, Dio lo si incontra camminando, nel cammino. E a questo punto qualcuno potrebbe dire che questo è relativismo. È relativismo? Sì, se è inteso male, come una specie di panteismo indistinto. No, se è inteso in senso biblico, per cui Dio è sempre una sorpresa, e dunque non sai mai dove e come lo trovi, non sei tu a fissare i tempi e i luoghi dell’incontro con Lui. Bisogna dunque discernere l’incontro. Per questo il discernimento è fondamentale».

«Se il cristiano è restaurazionista, legalista, se vuole tutto chiaro e sicuro, allora non trova niente. La tradizione e la memoria del passato devono aiutarci ad avere il coraggio di aprire nuovi spazi a Dio».

«Chi oggi cerca sempre soluzioni disciplinari, chi tende in maniera esagerata alla “sicurezza” dottrinale, chi cerca ostinatamente di recuperare il passato perduto, ha una visione statica e involutiva. E in questo modo la fede diventa una ideologia tra le tante. Io ho una certezza dogmatica: Dio è nella vita di ogni persona, Dio è nella vita di ciascuno. Anche se la vita di una persona è stata un disastro, se è distrutta dai vizi, dalla droga o da qualunque altra cosa, Dio è nella sua vita. Lo si può e lo si deve cercare in ogni vita umana. Anche se la vita di una persona è un terreno pieno di spine ed erbacce, c’è sempre uno spazio in cui il seme buono può crescere. Bisogna fidarsi di Dio».

«Quando insisto sulla frontiera, in maniera particolare mi riferisco alla necessità per l’uomo che fa cultura di essere inserito nel contesto nel quale opera e sul quale riflette. C’è sempre in agguato il pericolo di vivere in un laboratorio. La nostra non è una fede-laboratorio, ma una fede-cammino, una fede storica. Dio si è rivelato come storia, non come un compendio di verità astratte. Io temo i laboratori perché nel laboratorio si prendono i problemi e li si portano a casa propria per addomesticarli, per verniciarli, fuori dal loro contesto. Non bisogna portarsi la frontiera a casa, ma vivere in frontiera ed essere audaci… la riflessione per noi deve sempre partire dall’esperienza».

«San Vincenzo di Lerins fa il paragone tra lo sviluppo biologico dell’uomo e la trasmissione da un’epoca all’altra del depositum fidei, che cresce e si consolida con il passar del tempo. Ecco, la comprensione dell’uomo muta col tempo, e così anche la coscienza dell’uomo si approfondisce. Pensiamo a quando la schiavitù era ammessa o la pena di morte era ammessa senza alcun problema. Dunque si cresce nella comprensione della verità. Gli esegeti e i teologi aiutano la Chiesa a maturare il proprio giudizio».

«La visione della dottrina della Chiesa come un monolite da difendere senza sfumature è errata».

«Del resto, in ogni epoca l’uomo cerca di comprendere ed esprimere meglio se stesso. E dunque l’uomo col tempo cambia il modo di percepire se stesso: una cosa è l’uomo che si esprime scolpendo la Nike di Samotracia, un’altra quella del Caravaggio, un’altra quella di Chagall e ancora un’altra quella di Dalí. Anche le forme di espressione della verità possono essere multiformi, e questo anzi è necessario per la trasmissione del messaggio evangelico nel suo significato immutabile».

«L’uomo è alla ricerca di se stesso, e ovviamente in questa ricerca può anche commettere errori. La Chiesa ha vissuto tempi di genialità, come ad esempio quello del tomismo. Ma vive anche tempi di decadenza del pensiero. Ad esempio: non dobbiamo confondere la genialità del tomismo con il tomismo decadente. Io, purtroppo, ho studiato la filosofia con manuali di tomismo decadente. Nel pensare l’uomo, dunque, la Chiesa dovrebbe tendere alla genialità, non alla decadenza»

«Quando una espressione del pensiero non è valida? Quando il pensiero perde di vista l’umano o quando addirittura ha paura dell’umano o si lascia ingannare su se stesso».

«Il pensiero della Chiesa deve recuperare genialità e capire sempre meglio come l’uomo si comprende oggi per sviluppare e approfondire il proprio insegnamento

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