Ultima modifica Giovedì 13 Marzo 2014 10:22
13 mar 2014
DÌ CHE QUESTE PIETRE DIVENTINO PANE
Scritto da Piergiorgio |
Letto 12253 volte | Pubblicato in Il mio blog
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Seguendo parte della conferenza stampa di Renzi, ieri, dopo la riunione del Consigli dei ministri, non ho potuto fare a meno di tornare con la mente al brano del vangelo di domenica 9 marzo, nel quale si raccontano le tentazioni di Gesù.

E in particolare alla prima delle tentazioni, con la quale il diavolo, che non si presenta come un nemico di Gesù, ma come un suo alleato che lo vuole sedurre inducendolo a realizzare il suo programma secondo modalità diverse, contrapposte da quelle suggerite dalla Spirito, lo invita a trasformare le pietre in pane. In altre parole a usare delle sue capacità per il proprio tornaconto personale. Non c’è dubbio che il premier stia dimostrando delle capacità in parte inedite, come quella di saper entusiasmare, ad esempio, anche se non è del tutto nuovo in questo campo. Certo lo sa fare in modo seduttivo, pare, nei confronti di molte persone. Saper entusiasmare non è certo una cosa deplorevole in sé, a condizione che origini da un parlare franco e sincero e sia motivato da un agire onesto, coerente e conseguente. Stando ai commenti che sono seguiti e di cui è piena la stampa odierna, pare che quanto detto ieri dal Primo ministro non siano, per ora, che dichiarazioni d’intenti, un’elencazione di titoli, di cose da fare; insomma delle belle promesse. Ed è questo che induce preoccupazione e tristezza perché di belle promesse la gente è, giustamente, arci stufa. Sarebbe l’ennesima presa in giro, se alle dichiarazioni non seguissero fatti certi concreti e fattibili, come in tanti temono, giacché appare abbastanza nebuloso e poco convincente il reale perseguimento di quanto è stato in modo così altisonante annunciato. Io credo che anche la sobrietà del linguaggio sia un valore, così come l’approfondimento dei temi trattati e il saperli argomentare in modo convincente, non per dichiarazioni che hanno il sapore di spot pubblicitari o da imbonitori da fiera. Non si tratta di voler giudicare le intenzioni o di essere prevenuti; molto più semplicemente di praticare un ragionevole dubbio nei confronti di dichiarazioni e propositi che richiedono ulteriore e, più approfondita, conoscenza sul come, in che modo, con quali strumenti, con quali tempi s’intenda agire. «Il dubbio ragionevole» scriveva il teologo Bernhard Häring, «libera dall’ingenuità, dalla credulità, dalla ripetizione pappagallesca». Certamente non si può, sarebbe immorale, giocare con le attese della gente e questo è avvenuto troppe volte per non temere che possa ancora ripetersi. Ecco perché, pur comprendendo che la politica di qualsiasi governo ha bisogno anche di promozione, di pubblicità, ritengo che dovrebbe essere fatta con una certa misura; con sobrietà, senza ricorre agli effetti speciali e soprattutto non dimostrarsi pubblicità ingannevole. Da parecchi mesi, ad esempio, a fasi alterne si parla di provvedimenti di clemenza e di altri interventi per far fronte al sovraffollamento delle carceri e non incorrere in provvedimenti sanzionatori da parte dell’Europa. Di tanto in tato si blatera d’indulto o di amnistia come si parla della formazione della squadra di calcio del cuore che deve scendere in campo. Chi lo fa non si pone mai il problema dei riflessi che il parlarne ipotizzando o auspicando tali misure ha su quanti stanno dentro. Per loro rappresenta una continua tortura psicologica; un’attesa spasmodica e sofferta che poi si risolve puntualmente in frustrazione, rabbia, dolore. Sarebbe auspicabile parlarne meno e operare di più e più celermente nella direzione di quei cambiamenti che, a prescindere da eventuali sanzioni, se non attuati, configurino un modello penitenziario meno vessatorio e più umano; improntato realmente al recupero del condannato. La distanza del Palazzo dalle necessità reali della gente si misura soprattutto da questo; dalla capacità, di quanti sono chiamati a decidere, di farlo in tempi rapidi e con provvedimenti in gradi di parlare da soli sena il bisogno di essere propagandati.

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