Si è parlato di avvenimento storico dopo la firma di pace tra USA e Talebani in Afghanistan. Se sarà vera pace lo si vedrà in seguito, ciò che invece da subito mi pare chiaro è che la guerra combattuta in quel Paese, così come altre in corso, ha mostrato ancora una volta il suo volto diabolico.
Era stata avviata come ritorsione per l’attentato alle torri Gemelle di New York, imputate a Bin Laden e ai suoi accoliti, ospite dei Talebani in Afghanistan. L’intento sbandierato era quello di catturare lo stesso Bin Laden e quanti lo avevano sostenuto e appoggiato, esautorando chi governava l’Afghanistan in quel momento per poi installare un governo democratico (secondo la concezione occidentale). A 18 anni di distanza la potenza USA e i suoi alleati sono costretti a venire a patto con quelli che erano stati definiti il diavolo, i Talebani, appunto. È ben vero che i rapporti tra le nazioni sono sempre stati inevitabilmente connotati dalla necessità di compromessi che, tradotti diventano patti, accordi e convenzioni. Ma se le cose stanno così, o quasi sempre così, che bisogno c’era di avviare una guerra costosa e sanguinaria per alla fine tornare alla casella di partenza? Davvero non era possibile perseguire la giusta richiesta di giustizia per i responsabili degli attentati di New York senza ricorrere allo strumento più obsoleto e infame che la storia ci ha consegnato, la guerra? Io ne dubito fortemente. In quegli attentati morirono 2 974 persone. In termini di vite umane la guerra in Afghanistan agli USA è costata 2440 militari morti e oltre 20mila soldati feriti. In termini economici è costata 2mila miliardi di dollari. Ma anche per il nostro Paese l’impegno in Afghanistan non è stato una passeggiata: 54 morti e 8,2 miliardi di euro di costi. Quante cose si sarebbero potute fare con i soldi spesi per uccidere e quanto vale una vita umana? Non parliamo poi dei costi umani pagati dagli afghani che sono infintamente molto più alti. Eppure ci sono persone che continuano a sostenere l’inevitabilità della guerra, quando non la sua ragionevolezza e necessità. Se poi allarghiamo lo sguardo ad altri contesti, quali Siria, Libia, Iraq ecc. vediamo che ciò che sta sotto i nostri occhi sono solo macerie, sofferenze inaudite, sradicamento di interi popoli, insicurezza e peggioramento delle condizioni di vita di milioni di persone. Le vittime che più straziano il cuore sono i bambini. Quelli morti, quelli feriti e mutilati e quelli costretti a fuggire nella ricerca vana di una approdo in terra sicura. Terra che non esiste se non nella loro inguaribile speranza perché, noi che promuoviamo quelle guerra, o comunque ne siamo attori, non vogliamo farci carico degli “effetti collaterali”, cioè dei profughi e richiedenti asilo che da quei teatri fuggono in cerca di salvezza. L’ipocrisia regna sovrana a tutti i livelli, ma ci ostiniamo a chiamare pace ciò che è solo un modo vergognoso di affrontare contrasti e conflitti anziché cercare di risolverli nel rispetto di tutti e ricorrere alla forza, misurata e controllata, agita da istanze sovranazionali, solo come ultima ratio in situazioni non diversamente risolvibili.