Difficile sottrarsi alla sensazione che il percorso che sta davanti al Presidente del Consiglio incaricato, Mario Draghi, inizi in salita.
La sua scelta è stata pressoché unanimente considerata come l’unica scelta possibile in questo momento. Vuoi per la sua competenza e preparazione, vuoi per la stima di cui gode a livello UE e internazionale. Ma tutto questo non basterà di certo a rendergli facile il compito che gli è stato proposto dal Presidente Mattarella, perché avrà pur necessità di una maggioranza in Parlamento che lo sostenga. E quale maggioranza potrà realisticamente formarsi, maggioranza sufficiente, non solo all’avvio della nuova compagine governativa, ma ancor più alla sua prosecuzione nel corso del tempo? Difficile fare pronostici al riguardo e ancor più difficile prevedere come sarà il proseguo, nel caso avesse inizio. Le questioni da affrontare e che sono sul tappetto non sono di poco conto e sono altresì altamente divisive quanto a modalità di soluzione. Che possa attorno al nuovo governo ricostituirsi la stessa maggioranza che è uscita a pezzi con la crisi del governo Conte, per quanto non impossibile, è altamente improbabile. Una nuova maggioranza che contenga al suo interno forze che fino a ieri erano all’opposizione è altrettanto difficile da immaginare, anche se va detto che in politica vale il principio mai dire mai. Con tutta probabilità ci troveremo di fronte a una scomposizione delle varie forze in campo e alla ricomposizione di un nuovo quadro politico tutto da verificare e valutare. Sappiamo che un governo oltre che a reggersi sulla fiducia di forze sufficienti a garantirgli una maggioranza, può tuttavia operare anche attraverso modalità di desistenza, di non aperta opposizione, ma tutto questo avrà inevitabilmente un prezzo, che in soldoni si concretizza sempre in un do ut des. Se questo in linea di principio potrebbe anche essere il male minore, resta da vedere quale potrebbe essere il prezzo da pagare, e se il prezzo richiesto fosse tartassare i soliti noti, allora c’è da augurarsi che quanti si definiscono progressisti e di sinistra non siano disponibili ad accettarlo, magari con la promessa di una futuro migliore. Sarebbe una grave sciagura, oltre che una ingiustificata ingiustizia. Le esperienze passate dei governi tecnici o dei cosi detti “migliori”, c’è da augurarsi che abbiano insegnato qualche cosa al riguardo. Certamente la responsabilità, intesa come avere a cuore i destini del Paese, è un dovere di quanti ricoprono ruoli istituzionali e politici, ma slegata da quello altrettanto dirimente della giustizia sociale, dell’equità, dell’attenzione alle fasce più povere della popolazione, diverrebbe solo la foglia di fico dietro la quale ripararsi per fingere di cambiare perché non cambi niente. È ciò di cui non abbiamo affatto bisogno. Gli oltre 200 miliardi che avremo dai fondi europei se non saranno utilizzati per ricreare il Paese su basi nuove che siano inclusive per tutti e attuative dei principi fondanti la nostra Costituzione, saranno l’ennesima brutta, sporca e malefica dissipazione di risorse che servirà a farci affondare mettendo in salvo gli squali approfittatori.