Il tuo destino, Gesù, si compie nell’estrema solitudine. «Allora i discepoli lo abbandonarono e fuggirono tutti», così Marco, con estrema sintesi annota quanto avvenne quando fosti arrestato nel Getsemani. E tra quei fuggitivi ci siamo noi tutti, Signore.
È quanto facciamo ogni giorno davanti ai tanti innocenti perseguitati, calunniati, irrisi, disprezzati, disconosciuti, emarginati, dimenticati, colpevolizzati. Facciamo tutto questo magari commuovendoci dinanzi alla tua effige di uomo crocifisso e recandoci in processone ad onorarti nelle nostre chiese spoglie, soprattutto perché abbiamo dimenticato che l’unico modo che abbiamo per onorarti davvero è quello di farci carico del dolore del mondo, divenendo carezza per quanti soffrono a causa del nostro egoismo, del nostro pensare soltanto al nostro star bene, incuranti di quanti chiedono, ormai senza più voce e senza più speranza di essere riconosciuti fratelli e sorelle. Riportaci Signore in quel Cenacolo dove ci hai mostrato che possiamo essere come te signori soltanto nella misura con la quale scegliamo di lavarci reciprocamente i piedi, nell’atteggiamento di servi, di schiavi per amore come hai fatto tu fino al sacrificio supremo della donazione della tua vita. Ucciso come criminale per aver immesso nel mondo la legge dell’amore senza misura; amore che sa farsi perdono, misericordia, accoglienza e non giudizio. Signore insegnaci a saper fare Pasqua davvero. A saper fare il passaggio dall’animalità che ci imprigiona in reticoli di morte, alla libertà di figli di quel Padre di cui tu ci hai rivelato il volto; volto che possiamo intravvedere soltanto in quello dei fratelli e delle sorelle di cui ci prendiamo per divenire, noi e loro, ciò che siamo chiamati ad essere ed il cui nome tu solo conosci, che origina da una assunzione di responsabilità perché tutti abbiano vita e l’abbiano in abbondanza.