Tutto somiglia, nel ricordo,
a quel che capita,
quando ci si innamora.
Non so se fosse scritto in cielo,
oppure altrove,
tra stelle perse
nell’ampio firmamento.
Tu, come il mare che non ha limiti,
se non sull’altra sponda,
ed io che somigliava,
a un semplice ginepro di montagna;
con poche bacche
e tante spine al vento.
Quel che cercavo,
mi stava ora di fronte:
in quel rifugio di fortuna,
nella tua barba da profeta antico,
nel tuo sorriso buono e scanzonato,
nell’ampia cerchia di fratelli,
che rosicchiavano alla vita
l’avventura.
Fu intesa subito,
ad abbracciare il sogno
che era pur grande,
e mai del tutto detto;
solo intuito.
A tratti praticato con sgomento,
e tanta gioia semplice nel cuore,
e anche inconsapevole cimento.
Il camminare tuo, ora, è più lento.
La vita ti ha provato in ogni cosa.
A tratti, somigli un poco agli alberi
squassati da tormenta,
inerpicati su per alta roccia,
che paiono sfidare ancora il tempo.
E come quegli alberi forse ti cruccia,
nell’intimo del cuore, ugual tormento:
sentirsi ancora utili a qualcosa.
E questa è solitudine davvero,
affatto sterile, anche se dura.
Purché coltivi la memoria del futuro,
la vita spargerà in abbondanza,
i frutti seminati con fatica,
in questo autunno
che è per te la vita.
Io ti conosco poco, al par di ogni uomo:
ti ho visto piangere, gioir davvero,
ed arrabbiarti anche, perché sei vero.
Conosco di te una cosa certa:
la generosità che si fa dono.
E un limite, che ti fa fragile,
nel tuo apparire senza bisogno,
mentre dissimuli,
sotto una dura scorza,
una domanda antica come l’uomo:
l’esser amato per davvero
da qualcuno.