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UN ACCORDO FRAGILE

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11 ott 2025
UN ACCORDO FRAGILE
Scritto da Piergiorgio |
Letto 67 volte | Pubblicato in Il mio blog
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Non chiamatela pace; si potrebbe titolare così un resoconto sugli avvenimenti ultimi che hanno portato alla stesura e poi all'approvazione di quello che è stato definito "Piano Comprensivo del Presidente Donald Trump per far finire il conflitto a Gaza".

Certo, per quanti nel conflitto erano direttamente coinvolti in qualità di vittime, è una buona notizia che si sia giunti a una tregua, a una sospensione dei combattimenti, alla liberazione di ostaggi e prigionieri, al rifornimento di cibo, medicinali e presidi sanitari. A noi non rimane che gioire assieme a loro, benché ci risulti difficile provare anche in minima parte cosa significhi vedere finalmente un po' di luce in fondo a un tunnel cupo che appariva impenetrabile. È altrettanto vero che la tregua appena iniziata è di sua natura tanto fragile da indurre anche i più ottimisti a tenere un atteggiamento di prudente riserva sugli sviluppi futuri. Quella terra è così pregna di sangue e di odio che necessita di tempi lunghissimi affinché si possa ragionevolmente immaginare un futuro di pace autentica tra due popoli costretti a convivere, a meno di non volersi reciprocamente distruggere. Sappiamo bene che le guerre ordinariamente sono intraprese da farabutti ; così le tregue d'armi, gli armistizi, i trattati : tutte cose che seguono alla sospensione dei conflitti e, come le guerre, nascono per interesse ; anche i trattati di pace seguono la stessa logica , dobbiamo esserne consapevoli. Anche quest'ultimo accordo è viziato da interessi, furbizie e stratagemmi occulti che non ci è dato conoscere. Non per questo è da rigettare. Non è da escludere che abbiano avuto un certo peso, magari non determinante, ma certamente importante, anche le mobilitazioni di piazza in tutto il mondo per il raggiungimento della tregua concordata. Se così fosse, questo sarebbe un motivo in più per tenere alta l'attenzione e battersi ancora più convintamente per la pace in Medio Oriente e negli altri teatri di guerra. Chi ha perso i propri cari nella strage del 7 ottobre non potrà riaverli, così come i gazawi non potranno riavere i loro morti. Provoca una stretta al cuore vedere le migliaia di persone in cammino, dentro Gaza, dirette a imprecisate, per noi che osserviamo, destinazioni che sappiamo però essere costituite essenzialmente da cumuli di rovine. Camminano verso un nulla che sono costretti a chiamare e pensare come futuro. Hanno perduto casa, lavoro, perfino la loro stessa identità; infatti sono il soggetto mancante dell’accordo stipulato, ma senza i palestinesi ogni idea di futuro di pace per quanti abitano quella martoriata terra è destinata a fallire. Lo dicono persone ben più titolate di me, come ad esempio Ehud Olmert, ex primo ministro israeliano, oppure Ami Ayalon, ex direttore dello Shin Bet. Chi risarcirà le vittime di questa pazzia umana? Chi ridarà il sorriso al volto dei bambini? Chi risanerà le ferite dell’anima e del corpo? E noi, in tutto questo, che parte vorremo avere? Davvero la guerra è il problema, non la soluzione. Quanto tempo ci vorrà perché questo convincimento diventi patrimonio di noi umani?

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