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Sono forse io il custode di mio fratello?
Sono forse io il custode di mio fratello?

La risposta di Caino a Dio, che in Genesi risuona come rifiuto all’impegno di responsabilità che l’essere parte della stessa umanità, comporta, è la medesima che è risuonata ininterrottamente nel corso della storia e che tutt’ora risuona, talvolta sinistramente, magari ammantata persino da giustificazioni di carattere religioso. Eppure, a ben guardare, siamo geneticamente fatti per l’empatia: quindi costituiti, predisposti per la compassione; per la comprensione e la solidarietà verso i nostri simili. Segno che l’occuparsi della felicità degli altri, è parte integrante del nostro essere uomini e viene prima ancora di ogni teorizzazione etica o morale.

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QUATTROCENTO morti ammazzati,

schiantati come birilli

in un gioco micidiale

sotto muri di cartapesta

impastati di fibre ruvide e tenaci,

come iuta,

di un capitalismo disumano.

Vittime lavorate all’uncinetto da un egoismo

igrosopico,

non in grado di assorbirne

tutto il sangue.

Giacciono mute tra calcinacci

sprezzanti

mentre gridano inascoltati

i congiunti

il cui urlo non raggiunge i piani

più alti

al di qua dell’Oceano,

in Occidente.

La pietas invoca giustizia!

«Ma io ho pregato per te, perché tu sappia conservare la tua fede.

E tu, quando sarai tornato da me, da’ forza ai tuoi fratelli». (Lc. 22,32)

A Pietro borioso e sicuro,

il Signore,

preannunciando il suo tradimento,

assicura che non lo lascerà solo…

 

 

E tu, papa Francesco, non hai alzato il tono di voce

ricordando a noi tutti la domanda d’inizio

rivolta da Dio ad Adamo e Caino.

Ti sei conteggiato tra noi tutti:

«… mi includo anch’io tra i tanti disorientati…

Non siamo più attenti al mondo

in cui viviamo,

non curiamo

non custodiamo quello che Dio ha creato

non siamo più capaci neppure

di custodirci gli uni gli altri»

 

 

Non possiamo – hai detto –

rispondere Fuente Ovejuna, Signore;

Tutti e nessuno!

Se la globalizzazione dell’indifferenza

ci rende tutti “innominati”,

rimaniamo responsabili

in solido e personalmente

di ogni fratello e sorella

il cui sangue grida fino a Dio.

Chi ha pianto? Domanda Francesco;

già, chi ha pianto? Pochi, qualche volta nessuno.

Dobbiamo reimparare a farlo al più presto,

se vogliamo poterci dire ancora

umani.

Dalle gole degli asfissiati dal gas

escono solo parole strozzate

a invocare un aiuto che nessuno può dare,

mentre i corpi si agitano in spasmi irriflessi

e le mani graffiano l’aria che non può arrivare

ai polmoni.

Gli occhi appannati forse invocano un Dio

che non può più salvare,

e che è muto,

calpestato dallo stesso dolore.

Chi ha armato le menti, le mani

del boia?

E per quale ragione,

se può esisterne una?

Gli innocenti, anche ora,

sono i soli a pagare.

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