In quel tempo, disse Gesù alla folla: «Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà fame e chi crede in me non avrà sete, mai!
Vi ho detto però che voi mi avete visto, eppure non credete. Tutto ciò che il Padre mi dà, verrà a me: colui che viene a me, io non lo caccerò fuori, perché sono disceso dal cielo non per fare la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato. E questa è la volontà di colui che mi ha mandato: che io non perda nulla di quanto egli mi ha dato, ma che lo risusciti nell’ultimo giorno. Questa infatti è la volontà del Padre mio: che chiunque vede il Figlio e crede in lui abbia la vita eterna; e io lo risusciterò nell’ultimo giorno».
Noi che facciamo parte della popolazione che vive con abbondanza di cibo fatichiamo a sapere cosa significhi esserne privi e, potendo scegliere tra tante vivande, abbiamo smarrito il sapore del pane, alimento per tanti versi primordiale, almeno alle nostre latitudini. Cosa può significare, per noi sazi, sentire il Signore definirsi il pane della vita? Se però poco poco scaviamo dentro di noi, se prestiamo attenzione ai nostri bisogni più nascosti, più intimi, avvertiamo certamente una fame di senso che i beni materiali non riescono a soddisfare. È questo il cibo di cui abbiamo bisogno, ed è questo il nutrimento che il Signore può assicurarci. Cosa ci serve? Ci serve l’umiltà per riconoscere questa fame, lasciarla emergere sapendo anche digiunare da tutto ciò che di superfluo ingurgitiamo nella vana ricerca di una sazietà che non ci può venire dall’avere, dal possedere, dall’apparire. Allora la nostra vita ritroverà il gusto delle cose vere, quelle che aggiungeranno vita a vita in un crescendo senza fine. È questo il vedere e credere nel Figlio che dà la vita eterna.