Da quindici anni, di questa stagione, si svolge a Trento la festa dei Popoli; un appuntamento al quale, se posso, cerco di non mancare. È l’occasione per tuffarsi dentro un’umanità multilingue, multiculturale che solo a guardarla non può che suscitare gioia, allegria. Una vera Pentecoste.
Le differenze non si annullano; si compongono in un arcobaleno di suoni di colori, di danze, canti e sapori che rallegrano l’anima. È bello, scoprire nelle differenze che ci contraddistinguono, l’unità della natura che ci costituisce in umanità. Ieri, durante una delle manifestazioni di avvio, i bambini, spontaneamente, a quanto ci è stato raccontato, hanno voluto vestirsi con i costumi dei compagni, anziché indossare i propri di appartenenza etnica, nazionale. Penso che se imparassimo a guardarci con gli occhi dei bambini, ne trarremmo tutti giovamento. Loro sanno guardare spontaneamente oltre gli stretti e angusti nostri orizzonti; sanno vedere il bello che c’è nell’altro, anziché concentrarsi su ciò che ci disturba o può infastidirci. Siamo chiamati a costruire un’umanità fraterna, solidale, giusta. Naturalmente per riuscire in questo intendo dobbiamo imparare a sconfiggere gli egoismi personali, di gruppo, di parte. Non è facile. Molte cose si oppongono: interessi, paure, egocentrismi. Tutte cose che in tempi di crisi si manifestano in maniera più virulenta che in altri momenti. Tuttavia anche in tempi difficili ci sono sempre state, e ci sono anche ora, persone che sanno guardare più lontano; che hanno sguardi più penetranti di altre, che hanno sguardi di bambini. Ne cito soltanto due come esempi: l’Appello agli Europei, dell’ottobre 1914, del fisico Albert Einstein e del fisiologo Georg Friedrich Nicolai e il Manifesto di Ventotene, di Altiero Spinelli, Ernesto Rossi ed Eugenio Colorni durante il periodo di confino negli anni Quaranta. Mentre in troppi cedevano alla retorica militarista e di guerra, ci furono persone che seppero levarsi al di sopra del generale sentire e prospettare orizzonti di pace, di unità tra i popoli e le nazioni. La ragione era dalla loro parte, non certo dalla parte di quanti credettero di poter costruire un mondo migliore con le armi. Naturalmente il loro grido non poté evitare che accadesse la carneficina, ma servì a gettare le basi di un pensiero diverso. Il futuro di pace, di progresso, nella giustizia che in molti auspichiamo non si realizzerà di punto in bianco, soltanto perché lo desideriamo; sarà il frutto del lavoro convinto assiduo di oggi, del presente. Tra una settimana siamo chiamati a votare per il Parlamento Europeo. La sfiducia di molti nelle istituzioni, nella politica fa temere un forte astensionismo. Soffiano forti i venti di protesta, di qualunquismo, di populismo. Ci sono mille ragioni per essere insoddisfatti e tentati di stare a guardare, ma c’è un’unica ragione per non farlo: la convinzione che per quanto discutibile possa essere l’attuale sistema di rappresentanza che abbiamo, è l’unico che ci può permettere di contare e far sentire la nostra voce e si può fare soltanto partecipando al voto e votando chi davvero ha a cuore l’Europa, i suoi popoli, il suo sviluppo democratico. L’Europa dei popoli e non dei burocrati o della finanza, si può costruire soltanto credendoci e partecipando, rifuggendo dalla tentazione di prestare ascolto a chi la vuole distruggere, a quanti propugnano il ritorno agli egoismi nazionali, particolari, alle sirene della protesta fine a se stessa, ai movimenti xenofobi e razzisti. È quanto mai attuale quanto scrivevano gli estensori del manifesto di Ventotene, là dove affermano: «Oggi è il momento in cui bisogna saper gettare via vecchi fardelli divenuti ingombranti, tenersi pronti al nuovo che sopraggiunge così diverso da tutto quello che si era immaginato, scartare gli inetti fra i vecchi e suscitare nuove energie tra i giovani. Oggi si cercano e si incontrano, cominciando a tessere la trama del futuro, coloro che hanno scorto i motivi dell'attuale crisi della civiltà europea, e che perciò raccolgono l'eredità di tutti i movimenti di elevazione dell'umanità, naufragati per incomprensione del fine da raggiungere o dei mezzi come raggiungerlo. La via da percorrere non è facile né sicura, ma deve essere percorsa e lo sarà».