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Sono forse io il custode di mio fratello?
Sono forse io il custode di mio fratello?

La risposta di Caino a Dio, che in Genesi risuona come rifiuto all’impegno di responsabilità che l’essere parte della stessa umanità, comporta, è la medesima che è risuonata ininterrottamente nel corso della storia e che tutt’ora risuona, talvolta sinistramente, magari ammantata persino da giustificazioni di carattere religioso. Eppure, a ben guardare, siamo geneticamente fatti per l’empatia: quindi costituiti, predisposti per la compassione; per la comprensione e la solidarietà verso i nostri simili. Segno che l’occuparsi della felicità degli altri, è parte integrante del nostro essere uomini e viene prima ancora di ogni teorizzazione etica o morale.

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C’è tanto disprezzo

dentro le tue parole,

quanta è la bramosia,

di possedermi adesso,

mentre mi passi a fianco,

con fare indifferente.

Lo leggo dentro

il tuo sguardo:

avido ed insolente.

Mi rubi con i tuoi occhi,

l’intimità del corpo

che sono costretta a vendere,

per trastullare i maschi,

viscidi come te.

Sono merce in bella mostra,

così vuole il mercato,

succosa e appariscente.

Ma dentro mi sento nuda,

spoglia, violata e triste.

Quanti comprano il corpo,

che ormai non mi appartiene,

bambini capricciosi;

uomini immaturi,

maschi perversi,

o soli…

Soli perché non amati

… oppure che non sanno amare,

credono di far l’amore…

Ancora non hanno appreso

che l’amore non si fa; si vive.

Ed io fingo; fingo per me

e per loro.

Ma è solo un grande imbroglio.

La vita era a colori,

dentro il gruppo “dei pari”.

Tutto ci sorrideva,

in quel misto

di unità- complicità,

di confidenza,

di solidarietà,

che fuori non trovavamo.

Il cannone, scolpiva per noi

nuove parole:

linguaggio da iniziati,

levandoci paure e inibizioni;

“crescendoci” importanti;

… liberi.

 

Poi subentrasti tu,

fata Morgana infida

coi tuoi poteri magici…

le tue illusioni ottiche,

il gioco degli specchi,

i tuoi abbracci viscidi,

le tue promesse vane…

 

Mi trascinasti in fondo…

Precipitai all’inferno:

un tunnel scuro e vuoto

senza nessuna uscita.

 

Un Volto, (finalmente!),

mi ha tratto dal mio Ade;

un Volto su cui era scritto:

rispetto e amicizia.

Un Volto,

che mi ha chiamato “uomo”;

insegnandomi dignità.

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