Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. Gli dicevano gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!».
Ma egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo». Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c'era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo e disse: «Pace a voi!». Poi disse a Tommaso: «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!». Gli rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!». Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!».
L’apostolo Tommaso è passato alla storia come l’incredulo per antonomasia, tanto è vero che è di uso comune definirsi o definire qualcuno incredulo come Tommaso, per dire di qualcuno che se non vede, se non ha possibilità di accertarsi di una determinata cosa non è disposto a crederla. Ma è davvero così? Non sarà invece che quel suo dire “se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il dito nel segno dei chiodi e non metto la mano nel suo fianco, non credo”, sia un grido estremo di voler vedere, non per poter credere, ma per poter fare la stessa esperienza che già hanno fatto gli altri, del Risorto? Insomma potrebbe ben essere che Tommaso voglia semplicemente affermare che quanto gli hanno detto gli altri è cosi incredibile, che lui stesso vuole poterlo sperimentare. Quando gli accade quanto domanda se ne esce con la dichiarazione di fede più grande riportata nel vangelo di Giovanni: Mio Signore e mio Dio! Che anche a noi sia concesso poterla formulare sperimentando Gesù risorto attraverso il nostro credere fiducioso e il nostro essere gioiosamente cristiani.