In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Cercate di capire questo: se il padrone di casa sapesse a quale ora viene il ladro, non si lascerebbe scassinare la casa.
Anche voi tenetevi pronti perché, nell’ora che non immaginate, viene il Figlio dell’uomo».
Allora Pietro disse: «Signore, questa parabola la dici per noi o anche per tutti?».
Il Signore rispose: «Chi è dunque l’amministratore fidato e prudente, che il padrone metterà a capo della sua servitù per dare la razione di cibo a tempo debito? Beato quel servo che il padrone, arrivando, troverà ad agire così. Davvero io vi dico che lo metterà a capo di tutti i suoi averi.
Ma se quel servo dicesse in cuor suo: “Il mio padrone tarda a venire”, e cominciasse a percuotere i servi e le serve, a mangiare, a bere e a ubriacarsi, il padrone di quel servo arriverà un giorno in cui non se l’aspetta e a un’ora che non sa, lo punirà severamente e gli infliggerà la sorte che meritano gli infedeli.
Il servo che, conoscendo la volontà del padrone, non avrà disposto o agito secondo la sua volontà, riceverà molte percosse; quello invece che, non conoscendola, avrà fatto cose meritevoli di percosse, ne riceverà poche.
A chiunque fu dato molto, molto sarà chiesto; a chi fu affidato molto, sarà richiesto molto di più».
C’è chi attende la venuta del Signore dormendo o come se in realtà non ci credesse. I nemici “invisibili” di ogni persona e anche del cristiano, sono l’abitudine, la routine quotidiana, la mancanza di desiderio che si può installare a seguito di qualche difficoltà o delusione. Oppure, per chi ricopre incarichi responsabilità, la persuasione che questo gli consenta, a sua discrezione, abbandonarsi a trattamenti censurabili nei confronti dei subalterni o darsi, per così dire, alla pazza gioia vivendo con frivolezza e da irresponsabile. Con la parabola odierna l’evangelista vuole metterci in guardia da una visione utilitaristica del nostro dirci credenti, convinti che basti fare il minimo indispensabile per potersi dire discepoli del Signore. Non sarà lui a punirci per i nostri dinieghi, le nostre infedeltà, il nostro operare al risparmio perché una condotta di vita vissuta all’insegna della mancanza di amore fattivo, capace di nutrire in ogni senso la vita degli altri, anche se intessuta di orazioni si rivelerebbe, alla prova dei fatti, sterile. Dobbiamo cercare di capire che tutto ciò che abbiamo ricevuto in dono da Dio, dalla vita, ci è stato dato non per trattenerlo per noi; se lo facessimo si guasterebbe, ma per farne dono agli altri; per nutrire la vita di chi ci sta accanto. Solo in questo modo nutriamo anche la nostra e potremo dirci figli del Padre celeste.