Le guerre in atto nel mondo sono frutto certo di interessi contrapposti tra potenze, gruppi di potere foraggiati dalle industrie delle armi e bramosie di guadagni opachi e osceni,
ma anche dalla incapacità di un vero dialogo tra i popoli espropriati dalla loro possibilità di contare sulla scena del mondo. Nessuna pace sarà davvero possibile fintantoché i popoli non saranno in grado di ribaltare a loro vantaggio questo squilibrato rapporto tra loro e chi detiene il potere, sia esso conferito in modo più o meno democratico o da élite che lo hanno conseguito in modo truffaldino o violento. La gente comune in generale è contraria alla guerra perché è essa a pagarne il prezzo più grande e a combatterla. Non si da più che siano i comandanti in capo a guerreggiare recandosi in prima linea ad ammazzare e rischiare di essere ammazzati come poteva essere un tempo. Chi decide, pianifica e organizza le guerre se ne sta al chiuso ben riparato. Solitamente non espone a rischi neppure famigliari e parenti. E lucra sulla morte di soldati mandati al macello e dei civili che cadono sotto le bombe. Al più fingono lacrime di circostanza, quando accade, definendoli vittime collaterali. Come è possibile che la gran parte della gente, a iniziare da chi è mandato a combattere sia così cieca da non accorgersi che è usata come pezzi di ricambio di nessun valore? La propaganda volta a convincere della inevitabilità, se non della bontà della guerra sa essere per molti, troppi, assai persuasiva; purtroppo. Si insinua nell’animo delle persone, è instillata a piccole dosi come veleno fin da giovani, quando serve accendere la miccia necessaria a mobilitare gli eserciti preparati per questo, basta poco. Anche chi non è comandato al fronte piega la testa e l’accetta come dovere sacrosanto perché gli hanno insegnato che è giusto, doveroso opporsi al violento, se attaccati, con uguale violenza, o anche più grande perché si continua a far credere che la violenza sia l’unico rimedio ai conflitti che possono insorgere. Nelle guerre tra Russia e Ucraina, tra Israele e Palestinesi, per restare alle due più citate e a noi più vicine, le parole d’ordine sono identiche e anche i rimedi proposti. Facendo leva sull’assunto che ci troviamo davanti a un aggressore e un aggredito, si giustifica la risposta, la più dura ed esemplare possibile, volta a sconfiggere e possibilmente annientare il nemico. Il nemico è sempre demonizzato e reso, nella narrazione mainstream, abominevole a prescindere da qualunque altra considerazione. Schierarsi per la pace diventa tradimento, connivenza con il nemico. Di quanti morti ammazzati necessita un cessate il fuoco? E una tregua in vista di un trattato di pace? Quanto deve essere distrutto un popolo, un paese prima che prevalga la ragione sulla esaltazione dell’eroica impresa atta a celebrare ancora e ancora militi ignoti morti per una patria matrigna? Davvero non avrà futuro questa nostra umanità fino a che la guerra come strumento di risoluzione dei conflitti non sarà resa illegale e dichiarata cosa oscena da ripudiare.