Di questi tempi non sarebbe affatto vano rimeditare quanto narrato in Luca al capitolo 13,1-4. Forse anche noi, come quelli che riferirono a Gesù di quei Galilei che Pilato aveva fatto uccidere mentre stavano offrendo i loro sacrifici ci riteniamo innocenti
e quindi al riparo da possibili scenari di violenza e di guerra che colpiscono così duramente altre popolazioni in questi giorni drammatici e tristi. Non è così. Neppure noi siamo innocenti del sangue di quei giusti che per le scelte scellerate di governanti e piazzisti di armi stanno soffrendo l’incredibile. Magari non siamo colpevoli individualmente e siamo anche sinceramente dispiaciuti per loro, ma cosa facciamo di concreto perché cessino le loro sofferenze? Si potrà obiettare che determinate scelte sono in capo ad altri e non a noi, ed è pur vero, ma trascuriamo di aggiungere, così pensando che l’opinione pubblica ha ancora peso, se espressa e se esternata in modo convinto, insistente e pure rumoroso. Troppe persone vivono avvolte in una bolla: smarrite, forse, e forse turbate ma come fossero indifferenti a quanto accade. Eppure voci che si elevano a denunciare il pericolo che corriamo tutti, sia pure zittite e contrastate, ce ne sono molte. Allora perché la voglia di pace e la contrarietà alla guerra non sa farsi protesta forte, diffusa, insistente, capace di invertire la rotta di morte? Quando iniziò l’invasione russa dell’Ucraina i sostenitori della necessità, giustezza e inevitabilità della risposta militare, volta a difendersi da parte di quel popolo, di quello stato, raccolse ampi consensi. I sostenitori dell’invio di armi all’Ucraina si fecero forti dell’argomento che chi è aggredito ha il diritto sacrosanto alla difesa. Poi via via quel diritto si è ampliato diventando nel tempo esigenza di sconfiggere il nemico e conseguire una vittoria sul piano militare quale unica via per una pace giusta. A due anni di distanza l’unica cosa certa sono le migliaia di morti dall’una e dall’altra parte dei due eserciti in campo, le migliaia di vittime civili e la distruzione di un territorio, di paesi e città, paesaggi di morte e di rovina. Ma si persiste nell’idea che la soluzione sia ancora la guerra e non si fa mistero della possibilità/ eventualità di una discesa in campo di eserciti europei e della Nato. Lo ha prospettato il presidente francese Macron a cui ha fatto eco la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyn, affermando che la guerra non è imminente ma non impossibile. Già metterla tra le opzioni possibili significa che, se mai c’è stata, è abbandonata l’idea che sta alla base della nostra Costituzione che la ripudia come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali. Ma la stessa Unione Europea era nata con l’intento di creare le basi di un’unione tra i popoli europei, salvaguardare la pace e ricercare l'unità politica. Invece rinascono i nazionalismi e in un mondo sempre più interconnesso e bisognoso di una rinnovata architettura istituzionale di livello mondiale in cui tutti i paesi siano rappresentati e contino alla pari, si preferisce imboccare strade già percorse in passato che non possono portare che alla catastrofe. Pertanto è più che mai vero che se non ci convertiremo, per tornare al brano evangelico richiamato, cioè se non ci sarà un cambio di mentalità e un nuovo modo di operare tra popoli, governi e nazioni, periremo tutti allo stesso modo.