Così a me appare il mondo, intendendo per mondo la società di noi uomini e donne che vivono su questo opaco pianeta.
So bene che ovunque ci sono persone di ogni età sesso, condizione economica ecc. che diversamente da tante altre e in special modo diversamente da quanti stanno al vertice dei vari poteri che si contendono ricchezze e dominio, su cose e persone, sono quotidianamente impegnate quali artigiane di pace. Ma paiono non avere alcuna influenza su quanto continua ad accadere un po’ ovunque nel mondo. In Ucraina, in Palestina, in Siria, in Sudan e in tante altre parti del mondo la mattanza di migliaia di persone non ha tregua e pare non debba mai finire. Ciò che più indigna è che quanti potrebbero giocare un ruolo autentico di mediazione dei conflitti nella maggior parte dei casi, se va bene, si limitano a formulare degli auspici perché la violenza sia contenuta, quasi che fosse possibile imprimere alle persone una violenza moderata; accettabile. Il nostro paese e l’Europa nei suoi vari rappresentanti a questo si sono limitati e si limitano anziché farsi attori e promotori di pace. Le motivazioni, dal loro punto di vista, sempre in punta di fioretto (si fa per dire) si snodano sul lato del diritto. Ma il primo diritto delle persone, dei popoli non è forse quello alla vita, alla integrità, alla salute? E allora ecco che nei confronti del governo israeliano ci si limita a chiedere moderazione nonostante abbia superato di gran lunga ogni limite e sia del tutto evidente che sono stati commessi crimini contro l’umanità nella guerra in atto. Non giustificabili con quanto accaduto lo scorso 7 ottobre. Se le atrocità commesse da Hamas contro persone inermi israeliane potevano giustificare una risposta nei confronti dei responsabili, quanto poi fatto e che continua ha un nome solo: vendetta. Ne sta rispondendo un popolo intero e migliaia di bambini del tutto innocenti. Se queste non sono atrocità.
In Ucraina è ormai del tutto evidente che in risposta all’aggressione russa ciò che da parte dei paesi occidentali si voleva e a quanto pare si vuole tutt’ora, non è tanto una riposta difensiva ma un contrattacco che porti alla vittoria contro quel paese, o quanto meno lo indebolisca. E tutto questo pur sapendo che una vittoria sul piano militare non è immaginabile né per gli uni né per gli altri a meno di non precipitare il mondo in una guerra totale nucleare.
Volere la pace non significa accettare o giustificare soprusi e violenze, ma porsi in un’ottica di dialogo anche con il nemico, nella ricerca non facile di un accordo che contribuisca a uscire dal vicolo cieco del tanto peggio, tanto meglio.
La tregua, la cessazione delle ostilità, un armistizio e chissà quando una qualche pace verrà sopra un cimitero di morti, di distruzione, di odi.
Le generazioni future si chiederanno: perché? a quale scopo tanto orrore?