Fin qui è stato un anno orribile, in dirittura per uguagliare quello precedente del 2022, per le carceri italiane, scandito da uno stillicidio di suicidi di detenuti e guardie carcerarie, che rappresentano il fallimento della giustizia nel nostro Paese.
A fronte della drammaticità di vita e condizioni di detenzione di tante persone pare che la politica e le istituzioni non sappiano fare di meglio che limitarsi, nel migliore dei casi, a spendere parole di circostanza esprimendo dispiacere. Eppure la situazione di detenzione e i problemi correlati, quali il sovraffollamento, l’inadeguatezza delle strutture (quando non sono fatiscenti), la scarsità di personale (agenti di custodia ed educatori), l’insufficienza di attività lavorative, di attività trattamentali intramurali, la promiscuità tra persone condannate in via definitiva, in attesa di giudizio e appellanti, oltre alla presenza di numerosissime persone segnate da problematiche quali dipendenza da sostanze oppure da patologie psichiatriche non possono non rappresentare una miscela esplosiva capace di portare le persone più fragili a porre termine alla loro vita.
Si aggiunga che alle criticità già note si aggiunge anche, di questi ultimi tempi, l’accresciuta volontà di aumentare la fattispecie di reati e l’innalzamento delle pene nella presunzione di poter contrastare per via securitaria quello che molte volte è solo l’esito della mancanza di risposte sociali e lavorative che contribuiscono in modo significativo a spingere non poche persone nella marginalità e nella zona scura della illegalità.
Chi è in procinto di uscire dal carcere sa già in partenza che la vita che lo attende fuori è una condizione esistenziale in salita che induce rassegnazione, disperazione e per molti la strada diritta verso la recidiva.
Ritengo che a una osservazione attenta e per niente segnata da pregiudizio, la questione carcere nel nostro Paese sia una questione rimossa, alla quale non si intende porre rimedio, probabilmente perché convinti che la miglior pena sia, anche se negato, la vendetta. Se davvero si volesse dare attuazione a quanto scritto in Costituzione (Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato) le opportune e necessarie riforme si farebbero e ne avrebbero vantaggio tutti: chi deve scontare una condanna ma anche noi tutti parte di quella società che chi compie un reato ferisce. Buone pratiche, buoni esempi, studi e sperimentazioni sono lì a dimostrarlo. Manca la volontà politica!
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