La violenza nei confronti delle donne si esplica in tanti modi, da quelli per così dire più sottili, ma non meno impattanti, quali quelli di ordine psicologico sovente difficili da avvertire e decifrare anche da parte di chi ne è vittima, fino ai peggiori e più aberranti come quelli fisici che giungono fino al femminicidio.
Sono ragioni di ordine culturale quelle che stanno alla base degli agiti di violenza e hanno a che fare fondamentalmente con l’idea di possesso, l’incapacità di contenere le proprie pulsioni istintive e una idea dell’altro, del diverso da sé, in questo caso della donna che per il maschio rappresenta l’alterità per eccellenza. È dal di dentro, infatti, cioè dal cuore degli uomini, che escono i propositi di male, ci ricorda il vangelo (Mc 7,21) Se è così, e non v’è dubbio che sia così, è dall’educazione del cuore che può venire un vero cambiamento. Per cuore è da intendersi non tanto l’organo fisico, ma la nostra interiorità più profonda. È una educazione che inizia da ciò che respiriamo in famiglia. Non dai precetti eventuali che apprendiamo dai genitori, ma dal loro agire, dal loro essere persone capaci di educare alla libertà, quelle vera, da non confondersi con il fare ciò che si vuole e piace. Quanto respiriamo in famiglia, anche il non detto nel rapporto tra genitori ci forma o deforma a seconda della fortuna di nascere o meno in una famiglia, non dico perfetta, non esistono famiglie perfette, ma mediamente normale nella quale il rispetto reciproco tra i suoi componenti ha un solido fondamento. Poi vengono altre agenzie educative, quali la scuola, ma anche i vari incontri che sperimentiamo nel corso della nostra vita e come è di fondamentale importanza avere accanto persone capaci di trasmetterci il loro sapere, è altrettanto importante poter contare su esempi luminosi costruttivi in campo relazionale. Non nasciamo imparati, in nessun campo, tanto meno nella capacità di amare. Le illusioni in questo campo sono davvero infinite. Quanti modelli falsi e vuoti di relazione tra uomo e donna ci propina la società, e quanto è difficile riuscire a crescere sapendo vagliare tutto ciò che ci viene riversato addosso nell’età della nostra formazione, anni in cui ci troviamo tra l’incudine della tempesta ormonale, dei valori e disvalori che assorbiamo e il martello del difficile cammino della nostra crescita psicologica e umana verso l’identità a cui aneliamo. Imparare ad amare significa anche imparare a saper rinunciare a noi stessi, ai nostri egoismi, al nostro narcisismo, alla pretesa di appagamento sempre e comunque e conseguentemente alla capacità di reggere, senza naufragare, le inevitabili frustrazioni che la vita si incarica di regalare. Ricordo che una volta, dialogando con dei giovani (maschi e femmine) ventenni attorno al tema dell’amore dissi loro che sarebbero stati in grado di capire davvero che significa amare qualcuno il giorno in cui fossero stati in grado di dire alla persona amata: ti amo così tanto che sarei disposto a lasciarti se questo significasse farti felice. Mi guardarono stralunati come fosse atterrato tra loro un marziano. Poi continuando nella conversazione, sia pure con non poche perplessità e qualche remora, finirono con il dirsi d’accordo.
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