Miguel, è un nome che suona dolce come un claves. E tu eri una persona dolce; forse timida. Certamente eri una persona delicata. Hai trovato la morte in quella che era la tua camera da letto… ai giardini pubblici. Chissà se c’era la luna a guardarti quella sera; se qualche stella ha pianto, vedendoti morire. A me è rimasto l’amaro in bocca, assieme a tanta rabbia dentro, non solo perché sei morto, e questo è già tragico da solo, ma anche perché, tu, come tanti altri, valete meno dei randagi. Per quelli ci si preoccupa. Se serve, quando subiscono dei traumi, si precettano perfino gli psicologi… Delle persone che dormono per strada, in rifugi di fortuna, in case abbandonate, si pensa che in fondo l’hanno scelto, ci sono abituate e anche noi ne abbiamo fatto un’abitudine. Magari, pensandole, facciamo qualche sospiro e poi tiriamo avanti. Come sempre. Io, nella mia impotenza, non riesco a rassegnarmi. Vorrei che il cuore di tanti, le loro intelligenze, vibrassero all’unisono e si indignassero davvero. Che richiedessero a gran voce misure capaci di far fronte a quella che è un’emergenza. E invece si finge che sia una situazione ovvia, una condizione quasi scontata: che i poveri possano vivere con meno anche di niente. E senza dignità. A questo non ci sto!