Ce lo chiediamo in tanti e in tanti fantastichiamo sul dopo emergenza coronavirus. Anche questo esercizio può aiutarci a tenerci desti, a non soccombere alla tristezza e alla depressione, ma credo sbaglieremmo di grosso se pensassimo che tutto tornerà come prima.
Dal mio punto di vista non è nemmeno auspicabile. Di più, mi auguro che quanto abbiamo fin qui vissuto e ancora stiamo vivendo, ci sia stato e ci sia di insegnamento. Dubitarne però non è mancanza di fiducia negli uomini ma semplice consapevolezza di come siamo fatti: facili a dimenticare e a ripetere quanto di sbagliato ci accade di fare. È ben vero che non sono poche le persone che riflettono su quanto ci sta accadendo, che sanno mettere in luce in modo convincente aspetti e modalità del nostro vivere che sono state concausa della pandemia. Purtroppo la loro voce ci arriva, quando ci arriva, piuttosto silenziata, mentre trovano più facile accesso ai mezzi di comunicazione altre voci più disposte a somministrarci facili tranquillanti; speranze a buon mercato e in definitiva a rassicurarci che, passato il tempo necessario – che non sanno quantificare – tutto tornerà nella normalità. Dimenticano costoro di aggiungere – e temo non lo faranno mai – che è proprio quella normalità di prima che deve essere cambiata profondamente. A iniziare dall’idea di un progresso senza limiti e confini, basato sullo sfruttamento criminale dell’intero pianeta e di intere popolazioni per garantire benessere a una fetta piccola e residua di popolazione, di cui noi facciamo parte nostro malgrado, e l’arricchimento vergognoso di una élite, composta da pochissime persone, che detiene una ricchezza irragionevole sotto ogni punto di vista. No davvero se vogliamo che questo piccolo mondo al quale apparteniamo, che visto dall’alto non ha confini di sorta, possa avere un futuro con dentro anche noi, il cambiamento deve essere radicale. Non servono cosmesi di facciata. La terra, anche senza di noi, anche se maltrattata da noi, può continuare a vivere. Noi no, Noi senza che si abbatta il vecchio sul quale si è retta l’umanità fino ad ora non avremo grandi probabilità di sopravvivere. Se non partiamo dall’idea che costituiamo una sola umanità e che ciò che fa male agli uni prima o poi si riversa sugli altri, che pertanto è necessario ricostruire su basi nuove sovvertendo le vecchie, certo passerà questa emergenza, ma presto se ne presenterà un’altra magari anche più grave che ci troverà del tutto impreparati. Serve un governo mondiale che non sia la ripetizione inconcludente dell’ONU, ma che abbia, su basi realmente democratiche e rappresentative di tutti i popoli, il mandato e l’autorità per avviare le riforme necessarie e inderogabili sulle questioni climatiche, ad esempio. Serve un governo mondiale che attui un reale disarmo e investa invece su sanità e istruzione. Servono politiche fiscali basate su equità e progressività in grado di raccogliere le risorse necessarie a garantire lavoro, casa e una vita dignitosa a tutti e ciascuno. Serve anche che ciascuno di noi cambi e impari a vivere i rapporti con le persone con tenerezza e non con invidia, rancore, in perenne conflitto con l’altro. Ci serve uno sguardo nuovo sulle cose, sulle persone e sugli animali. Serve che di questa terra ferità e umiliata iniziamo davvero a volere che diventi un giardino. Allora potremo iniziare a vivere con un po’ più di speranza e di gioia.