È diventata una moda come il tiro al picione quello di sparare su quella che è definita sbrigativamente la casta, intendendo per casta tutti coloro che a titolo diverso si offrono di svolgere un servizio pubblico nelle istituzioni.
E certamente motivi per dolersi ce ne sono davvero tanti, così come ragioni per essere arrabbiati dinanzi a comportamenti non solo censurabili ma decisamente inqualificabili da parte di politici e persone che del servizio alla collettività hanno fatto e fanno il trampolino di lancio dal quale tuffarsi nel mare magnum degli interessi spiccioli, personali e di bottega, incuranti di ogni e qualsivoglia appello etico che la funzione alla quale sono chiamati dovrebbe comportare. Ma basta questo per affermare che sono tutti uguali, che non c’è nessuna differenza, che tutti, senza eccezione alcuna sarebbero da mandare allegramente a quel paese? Io credo proprio di no. Credo che affermare che sono tutti ugualmente disonesti, oltre che sbagliato sia fare un torto alla verità perché ce ne sono più di quanti ci si immagina di amministratori e politici onesti, solo che come accade in ogni ambito, quelli che fanno più rumore sono per l’appunto i disonesti, gli arruffapopoli, quelli che hanno buon gioco a indicare al ludibrio della gente una generica casta, della quale fanno parte a tutti gli effetti, ma alla quale vorrebbero far credere di non appartenere quando al contrario sono proprio loro che contribuiscono maggiormente a screditarla. Io penso che si possa essere legittimamente di destra, di centro, di sinistra e tuttavia essere appassionatamente democratici, rispettosi delle regole e della nostra Costituzione, ma è altrettanto vero che ci sono persone, gruppi e movimenti per i quali il rispetto delle regole e della Costituzione sono un optional, qualche cosa di cui si può fare tranquillamente a meno o che, pur nel rispetto formale delle stesse, mirano in realtà a stravolgere e le une e l’altra cercando di convincerci che se facessimo così risolveremmo molti dei nostri problemi. Si atteggiano a chirurghi esperti ma sono soltanto dei macellai che a forza di togliere e tagliare un po’ di qui e un po’ di là, mirano trasformare il nostro Paese in uno ectoplasma del quale essere gli unici e indiscussi proprietari e signori. Ma un corpo per essere un organismo vivo ha bisogno di tutti i suoi organi, che siano sani e ben funzionanti, il che significa che è qualche cosa di complesso e che è governabile soltanto attraverso una sua conoscenza precisa e adeguata. Fuor di metafora, un Paese non è né un’azienda, né una squadra di calcio in cui a decidere è un amministratore delegato o il coach di turno, ma una realtà complessa al cui interno si dibattono interessi tanto diversi e anche contrapposti che devono poter trovare punti di convergenza sulla base di quanto è prescritto in Costituzione e non già sulla base dei desiderata di chi ha più soldi, ricchezza e potere. Per questo la rappresentanza di tutti i settori della società deve poter trovare nelle istituzioni adeguata rappresentanza, così come nei corpi intermedi troppo facilmente e a lungo, in questi ultimi anni, snobbati. La democrazia è un sistema complicato e per funzionare bene deve essere assunto da tutti come inalienabile. La storia, questa sconosciuta da troppi nostri connazionali, dovrebbe esserci di insegnamento al riguardo. Le tragedie del passato, il sacrificio di milioni di persone immolate sull’altare di feroci dittature del Novecento presentatisi sulle piazze di allora come le risolutrici definitive di ogni possibile contraddizione sociale dovrebbero indurci a non ripetere l’errore di un tempo: credere che un sistema democratico non sia il più adatto per il governo di una nazione.