Sono già trascorsi dieci anni quell’undici febbraio 2013 e sembra ieri. Giorno dipinto di bianco da una coltre leggera di neve ad ovattare i rumori quotidiani della Trento tua “patria” d’elezione…
Apolide, infatti, amavi definirti, perché nato in una stanza d’albergo a Lavarone. Dieci anni dal tuffo nell’oceano della Misericordia infinita di Dio come amavi definire la tua morte; evento al quale pensavi con timore e speranza. Dieci anni di assenza/presenza che interroga; che ringiovanisce i ricordi, la nostalgia, l’affetto di quanti ti hanno amato e stimato. Per molti sei stato di esempio e di sprone a lottare e impegnarsi per un mondo più giusto e fraterno; per altri una spina nel fianco da omaggiare a distanza… Per me, che con te ho camminato a lungo al tuo fianco, in tua compagnia, sei stato amico e fratello, persona speciale, che oggi sento più viva che mai. Sei stato un profeta?, sì, lo sei stato perché hai saputo anticipare risposte che altri, anche sul tuo esempio, hanno in seguito fatte proprie. Ti sei lasciato interrogare dalla Vita e dal Vangelo, da quel Gesù di Nazareth che per te è sempre stata la persona di riferimento a cui guardare. Un santo? Anche, se inteso nel suo senso più vero, ma non un santino. Un santo imperfetto come lo sono tutti, giacché siamo umani, segnati da limiti, errori e peccati. Un uomo perdonato da Dio, come amavi ricordare. Guardandosi attorno si direbbe che il momento presente sia peggiore di altri, anche del passato più recente. Talvolta è palpabile, o così pare a me, il senso di impotenza, quando non di assuefazione, a questo non star bene di tanti, di troppi. Poveri in aumento costante, respingimenti, muri e filo spinato a tener fuori chi chiede un poco di vita, le atrocità della guerra in Ucraina e delle tante altre silenziate… Mi vien voglia di domandarti, caro (don) Dante, in questo anniversario, di farci udire ancora la tua voce tuonante (magari sacrando dall’alto!) che ci risvegli dal torpore e ci spinga ancora a osare indignarci e non smettere mai di lottare; di spenderci per il diritto ad avere diritti. E reimparare ad amare, guardando in viso, negli occhi ogni persona: bianca o nera, bella o brutta, nativa o arrivata da fuori riconoscendola fratello e sorella ed essere per lei una carezza gentile come quelle che sapevi offrire tu ai feriti della vita. Mi auguro che il ricordo di te, di ciò che sei stato, non sia occasione per vuote parole profferite pensando di onorarti per poi tradire con i fatti il tuo lascito più autentico: essere un dono per gli altri come sei stato tu.