Tempo di bilanci, analisi, dichiarazioni festanti oppure scontente, imbronciate. Ogni leader politico ha da trasmettere il suo personale punto di vista sul risultato delle elezioni europee.
Come accade quasi sempre, nella baraonda di esternazioni, domande accomodanti poste da cronisti compiacenti, perché chi ne avrebbe di scomode da porre non è ammesso all’inner circle, sono i problemi quotidiani della gente ad avere scarso spazio, quando non sono del tutto ignorati. In queste recenti elezioni per il Parlamento europeo, se vogliamo parlare di vincitori, dobbiamo ammettere, e non è cosa che entusiasmi, per usare un eufemismo, che i due principali vincenti sono quanti si sono astenuti e, per contro, anche se non hanno trionfato, gli epigoni degli esponenti del nostro peggiore e oscuro passato. Perdenti lo siamo un po’ tutti; lo è la democrazia e lo è il senso della partecipazione e del concorso alla costruzione del bene comune. Astensionismo e “successo” delle destre sovraniste sono due fenomeni da non sottovalutare. Il primo perché segnala drammaticamente lo stato di salute della nostra democrazia, e della partecipazione alla gestione della cosa pubblica, il secondo perché documenta la tendenza di molti a voler delegare al capo indiscusso la soluzione di ogni problema, ritenendolo il solo in grado di farlo. Entrambi i fenomeni richiamati illustrano a chiunque lo voglia vedere, quanto siano fragili le istituzioni sulle quali si regge il nostro vivere assieme e quanto sia urgente e necessaria una loro manutenzione, volta a rafforzarle. È compito della politica, quella con la P maiuscola, se ancora esiste, farsene carico. Una siffatta politica può solo essere opera di partiti composti da persone capaci, oneste, che non promettono miracoli facili un po’ a tutti, ma che hanno una visione del presente e del futuro realistica e al contempo capace di far sognare, soprattutto quanti sono oggi più trascurati, perché basata sull’impegno ad attuare, per quanto riguarda noi italiani, i principi basilari della nostra Costituzione. I temi sui quali lavorare con impegno non mancano di certo: lavoro, istruzione, sanità, scuola, integrazione dei migranti, dignità di ogni persona, pace e giustizia. Non il libro dei sogni, ma un libro delle cose da fare a partire dalle più urgenti e che sono voce quotidiana di chi ne paga il prezzo più alto. Uguale discorso credo valga per quanto riguarda l’Europa. Se vuole tornare a esistere, deve diventare l’Europa dei popoli e non più delle lobby mortifere, dei piazzisti delle armi, del mercato sovrano assoluto e dei burocrati. Un’Europa generatrice di pace e modello di convivenza tra diversi che rifiuti decisamente ogni e qualsiasi ammiccamento, per vili interessi, con quelle forze politiche che hanno inscritto nel loro DNA la pretesa di volgere all’indietro il percorso della nostra storia, richiamandosi a quei disvalori sui quali è bruciata ottant’anni fa. Percorso non facile e lungo, su cui vale scommettere.