Ci risiamo; ancora parole in libertà, per così dire, e per usare un eufemismo, quelle pronunciate da Roberto Calderoli durante un comizio, dal palco della festa del Carroccio in quel di Treviglio. E se quanto detto nei confronti del ministro Cecile Kyenge (Quando vedo le immagini della Kyenge non posso non pensare alle sembianze di un orango) è l’ennesima dimostrazione, come afferma Rigoberta Menchù, che il razzismo è l'espressione del cervello umano ridotta ai minimi termini, quanto detto successivamente dallo stesso vice presidente del Senato a sua difesa e giustificazione, suona per certi aspetti anche peggiore.
Ha affermato, infatti, di essersi limitato ad una battuta, magari infelice, all’interno di un discorso articolato di critica nei confronti del ministro per le posizioni assunte in fatto di immigrazione e di diritto di cittadinanza. Forse sarebbe bene ricordare, all’esponente della Lega, quanto affermava Ghandi a proposito di critica nei confronti di una persona, cosa ben diversa dall’insulto gratuito. «Acquistiamo il diritto di criticare severamente una persona» sosteneva il profeta della nonviolenza, «solo quando siamo riusciti a convincerla del nostro affetto e della lealtà del nostro giudizio, e quando siamo sicuri di non rimanere assolutamente irritati se il nostro giudizio non viene accettato o rispettato. In altre parole, per poter criticare, si dovrebbe avere un’amorevole capacità, una chiara intuizione e un’assoluta tolleranza». Tutte qualità che a molti, troppi, esponenti leghisti difettano; basta scorrere le cronache di questi ultimi vent’anni. E se la statura morale delle persone la si può misurare anche dal linguaggio usato, oltre, s’intende, che dal comportamento, non c’è dubbio alcuno che nel confronto tra i due, il ministro Cecile Kyenge e Roberto Calderoli, quello che ne esce più malconcio sia quest’ultimo. La Kyenge, per tutta risposta, interrogata circa le offese pesanti pronunciate nei suoi confronti, si è limitata, con molta serenità e pacatezza ad affermare: «Le parole di Calderoli non le prendo come un'offesa personale, ma mi rattristano per l'immagine che diamo dell'Italia. Credo che tutte le forze politiche debbano riflettere sull'uso che fanno della comunicazione». Si può discutere; ci si può legittimamente dividere sulle soluzioni da proporre in tema di immigrazione e di diritto di cittadinanza per gli immigrati, ma come non notare l’abisso culturale che divide cittadini che come la Kyenge argomentano le loro tesi e altri cittadini ed esponenti politici che al posto di argomentazioni serie e credibili, usano l’insulto, agitano spauracchi e mostrano di credere che esista un qualche sacro principio che ci fa diversi, nel senso di superiori da una parte e inferiori dall’altra, a seconda del colore della pelle, del paese di provenienza, del credo religioso? Probabilmente aveva ragione lo scrittore francese Robert Sabatier quando affermava che il razzismo è un modo di delegare ad altri il disgusto che abbiamo di noi stessi. Da parte mia esprimo la più sentita e convinta solidarietà a Cecile Kyenge e l’incoraggiamento a continuare nel suo lavoro di ministro con determinazione, certo che da esponenti politici della sua levatura abbiamo tutti da guadagnare; probabilmente, lo auspico, anche quanti fino ad ora hanno saputo soltanto denigrarla.