I politi sono sotto attacco e certo un gran numero di loro non hanno fatto assolutamente nulla per non meritarlo. Le motivazioni per le quali i cittadini sono sempre più schifati, delusi e, tendenzialmente, portati a far di tutta l’erba, un fascio, hanno sicuramente delle buone basi sulle quali reggersi.
Non c’è alcun dubbio che quanti sono eletti per rappresentare il popolo nelle istituzioni e, secondo il mandato democratico ricevuto, sono chiamati a legiferare e decidere, nei limiti del loro mandato, potranno realisticamente sperare in una ritrovata fiducia solo nella misura in cui sapranno comportarsi con quella dignità, correttezza, onestà che è loro richiesta. Ne discende che devono cambiare profondamente; non a parole o con proclami ai quali non crede, giustamente, più nessuno, ma attraverso scelte e comportamenti coerenti con quanto il momento presente richiede. In fondo ciò che è richiesto loro è di non pensarsi come una casta di “eletti” intoccabili, ma, in quanto cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche, come afferma la nostra Costituzione, adempierle con disciplina e onore (Art. 54). Disciplina e onore, per troppi, le cronache ne sono piene, sono diventate parole vuote, senza più nessun legame con la realtà, il senso e il significato che dovrebbero avere. La disciplina dovrebbe consistere nell’osservanza scrupolosa delle leggi; quindi, per dirla in soldoni, nell’essere di esempio ai comuni cittadini. L’onore, se in senso ampio ha a che fare con la dignità personale, per altro verso sta a indicare il valore morale, il merito riconosciuto a una persona, derivantegli dalla stima e dal rispetto che gli attribuiscono gli altri; quindi, qualche cosa che a che vedere con il riconoscimento di un comportamento virtuoso, e non, come vorrebbe qualcuno, dal titolo o dal ruolo ricoperti. Ciò premesso, e ripetuto che i politici tutti, di tutte le parti, hanno solo il dovere di mostrare con i fatti che intendono cambiare verso, per usare unno slogan di moda in questi tempi, mi sembrerebbe miope limitarsi a sparare sui politici quasi fossero i soli responsabili del tracollo morale nel quale ci dibattiamo. Accanto a loro, e tante volte forse più ancora di loro, ci sono tante altre categorie di persone che veleggiano sulle ali di privilegi insopportabilmente ingiustificabili e ingiustificati. Se ne potrebbe fare un elenco assai lungo di persone che reputano, non solo giusti, ma anche intoccabili gli emolumenti di cui beneficiano. È notizia di questi giorni la dichiarazione del manager delle ferrovie, Mauro Moretti, che ha ventilato l’ipotesi di andarsene, nel caso gli fosse decurtato lo stipendio. Ora, io non metto in dubbio che le responsabilità di una manager siano più grandi di quelle di un operaio, né sono dell’avviso che tutti si debba essere retribuiti con lo stesso importo, a prescindere, ma un minimo di equità, sarà pure possibile invocarla senza passare per degli estremisti egualitari. Nel caso specifico (ma c’è di peggio) il suddetto manager percepisce uno stipendio di 850.000 euro l’anno; vale a dire, circa 70.000 euro il mese, che corrisponde a 58 volte più di uno stipendio medio di un operaio. Non c’è chi non veda la sproporzione abissale tra le due realtà. La nostra Costituzione, all’art. 36, recita testualmente: «Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un'esistenza libera e dignitosa». Qui non si tratta di fare gli estremisti, invocando in modo forcaiolo un livellamento che imponga a tutti la medesima retribuzione, ma, molto più semplicemente di comprendere che le diseguaglianze macroscopiche che esistono nella nostra società, sono la causa dello star male di tanta parte della popolazione. È una questione fisica, matematica, prima ancora che etica o morale. Se in pochi accumulano ricchezze insopportabili, altri necessariamente rimarranno privi anche del necessario. La ricchezza complessiva del paese è più che sufficiente a consentire una vita dignitosa a tutti; ciò che crea privazione e povertà è la distribuzione ingiusta delle risorse. In tutto questo però abbiamo delle responsabilità un po’ tutti quanti perché l’idea di giustizia sociale è venuta scemando in questi nostri tempi. Tutti smaniano di arricchirsi e accumulare fortune infischiandosene degli altri e sovente, la stessa gente che giustamente protesta verso talune forme di privilegio, è pronta a riconoscere, senza battere ciglio, il diritto di averne ad altre categorie. Chi si scandalizza per i guadagni astronomici di calciatori o divi vari, ad esempio? Non c’è nulla da fare; tante volte siamo proprio strabici: indirizziamo il nostro sguardo solo là dove il clamore si fa più forte, ma ci manca la capacità di una visione d’insieme, la sola che potrebbe aiutarci a mettere a fuoco il problema, facendoci comprendere che la soluzione sta nella costruzione di una società fraterna e solidale.