Che il carcere non sia rieducativo lo testimoniano le statistiche, prima ancora che le analisi socio-pedagogiche. È scritto nero su bianco, infatti, che si aggira intorno al 70%, in Italia, la recidiva.
In altre parole significa che più di 2 persone su 3 uscite dal carcere, commettono ulteriori crimini. Invece che interrogarsi sulle ragioni che portano molti ex detenuti a tornare dietro le sbarre, si preferisce inasprire le pene anche per i minori e introdurre nuove sanzioni anche per comportamenti fino ad ora non puniti penalmente. Come accade di frequente nel nostro Paese, si preferisce scegliere la via più breve, quella che illudendo l’opinione pubblica promette risultati strabilianti, pur sapendo che non sarà così. Miopia politica o scelta consapevole, indice di una visione reazionaria e illiberale di società? Probabilmente l’una e l’altra. Nel caso specifico dei minori che delinquono, dimenticare che costoro con i loro vissuti e i loro comportamenti sono specchio di ciò che noi adulti non abbiamo saputo o voluto dare loro, non ci fa più innocenti, così come non assolve le istituzioni dalla mancanza di interventi in fatto di vivibilità dignitosa nelle periferie delle città, di sostegno alle famiglie in difficoltà, di integrazione non parolaia di immigrati e seconde generazioni, di contrasto alla dispersione scolastica ecc.. Anziché investire in prevenzione, destinando risorse consistenti in programmi di promozione sociale e culturale, si preferisce assegnare una attribuzione di carattere catartico alla pena come deterrente. Ora la pena in se stessa non ha mai rappresentato un deterrente, come sottolinea la stessa Cristina Maggia, presidente dell’Associazione italiana magistrati per i minorenni e per la famiglia. Ci sono persone che ricordando la propria infanzia, e dimentichi di come vivessero realmente le punizioni corporali ancora in uso in passato, amano dire che nonostante qualche schiaffone o bacchettata sulle mani sono diventate grandi e hanno imparato il rispetto dovuto agli adulti e l’osservanza delle regole. In realtà ciò che hanno imparato è semplicemente ad ubbidire senza pensare, cosa utile per un ambiente tipo caserma o istituzione totalizzante, civile, religiosa o politica che sia, non per essere dei cittadini sovrani. Del resto questo è ciò che si prefigge ogni potere che necessità, per poter sussistere e durare, di poter contare su persone sottomesse e possibilmente servili. Ecco che allora tutto può essere utile, anche i fatti di cronaca allarmanti, che certamente suscitano paure e timori, per introdurre surrettiziamente provvedimenti volti non tanto a contrastare le illegalità, quanto a colpire i più marginali della società. La controprova l’abbiamo nel fatto che per quanto riguarda i già tutelati, l’approccio è radicalmente diverso; si opera per ridurre, mitigare le pene previste per reati quali corruzione, evasioni. Non parliamo poi del mondo della politica che ci ha offerto e ci offre esempi davvero inquietanti di spregio delle regole, di sotterfugi e impunibilità al punto da far dire a molti, tra la gente, che sono tutti uguali. Le regole sono necessarie in ogni gruppo sociale in cui viviamo: non è possibile la vita in comune senza il rispetto delle regole, tuttavia non basta che siano scritte, o che siano previste sanzioni per chi non le rispetta, perché siano fate proprie. È necessario che siano giuste, che riguardino tutti, che servano alla convivenza e tendano a favorire il bene comune, non a discriminare tra privilegiati e disgraziati.