Sarebbe impossibile da raccontare per chiunque. A noi giungono soltanto i gemiti più forti, quelli più vicini ma che rimango pur sempre a grande distanza, salvo non riguardino famigliari e amici a noi vicini.
Eppure, anche se smorzati dalla lontananza fisica mi giungono e interrogano nel profondo e mi fanno piangere e soffrire. Come si potrebbe rimanere indifferenti dinanzi al pianto sconsolato di tanti bambini traumatizzati, feriti dalla guerra, affamati, ammalati senza possibilità di alcun soccorso? E al pianto disperato delle madri alle quali rimangono soltanto gli abbracci quale consolazione? E che dire di chi si vede distrutta con la casa ogni speranza e la campagna una volta ricca, grassa e produttiva ora sterile e torturata, riposo estremo, anche se provvisorio, di corpi maciullati senza una ragione che non sia la volontà malata di potenza assassina? Perché tanta violenza, tanta malvagità tra gli uomini mio Dio? Eppure, io ne sono certo, nel cuore di ogni persona c’è un desiderio che ci accomuna, anche se forse in tanti pare rimosso; il desiderio di pace, serenità, bellezza, bontà. Desiderio, aspirazione di qualche cosa di preferibile al possesso di cose, soldi e di potere, che ci trascende e che avvertiamo dentro di noi se solo ci riserviamo un po’ di silenzio e di inattività per stare semplicemente con noi stessi. Nel silenzio che si fa contemplazione ci è possibile sentirci parte di un TUTTO e ogni persona, ogni vivente, ogni cosa, avvertirla come parte del tutto nel quale siamo immersi, da cui è impossibile, se non volendolo, staccarsi e che però, se lo facessimo, lo avvertiremmo come mortifero. C’è una chiamata alla fraternità che è più originale dell’odio al quale cediamo usando della violenza per emergere e dominare. Perché, mi chiedo, non impegniamo le nostre forze, le nostre capacità, le energie e le risorse a nostra disposizione perché trionfi alfine la vocazione più autentica e più vera che ci portiamo dentro il cuore?